di Sonia Savioli
I romanzi di Thomas Hardy sono viaggi meravigliosi che ci portano in luoghi affascinanti, in un tempo diverso, tra gente magnifica, ironica, ricca di personalità. Paesaggi, vicende, persone: tutto è disegnato con una maestria rara.
Amo moltissimo questo scrittore inglese, vissuto nell'epoca vittoriana ma così poco vittoriano nell'ideologia e nei principi, tanto da essere stato più volte al centro di scandali letterari, censurato e osteggiato.
Amo i suoi personaggi così spontanei, complessi e autentici, l'amore e la pietà con cui li descrive: quella pietà che è condivisione generosa, comprensione partecipe; amo la sua ironia bonaria, che si applica quasi sempre alle descrizioni del popolo, e amo lo sdegno che esprime verso i pregiudizi, le rigide convenzioni borghesi, le istituzioni fredde e spietate. In più, amo la regione che lui chiama Wessex (il Dorset) e che descrive con tanta poesia; che ha nel cuore, non si può sbagliare, e che entra nel cuore di chi legge come il sogno della campagna, quella ormai favolosa, che le nuove generazioni forse non conosceranno più.
Thomas Hardy è un classico ma sempre meno conosciuto, come molti classici, e conoscerlo significa appassionarsi, vivere le vicende da lui descritte e ritornare più e più volte al suo Wessex dalle lontananze azzurrine, alle sue donne luminose.
Il nostro viaggio inizia.
Salite ancora quella collina; ecco, la strada giunge sul rilievo, è una strada polverosa e profumata, non c'è silenzio ma il canto degli uccelli e belati lontani e qualche voce dai campi e, infine, si apre davanti a voi il paesaggio del Wessex: valli e colline e antiche città e brughiere selvagge sullo sfondo. Ma, perlopiù, campi e siepi, corsi d'acqua gorgoglianti, boschi piantati "per proteggere i terreni dal tramontano".
Non andremo lontano, nel viaggio attraverso i romanzi di Thomas Hardy; esploreremo ogni angolo di questa regione, in un tempo in cui la natura è ancora l'ambiente degli uomini, anche se le regole e le istituzioni incombono e, cieche come il fato, a volte mietono vittime.
E incombe già, naturalmente, altrettanto cieco e inesorabile, il progresso industriale, che però sfiora soltanto la vita degli abitanti del Wessex, incompreso e indifferente.
Al di là della siepe che costeggia la strada vediamo la collina di Norcombe, coperta di faggi dal lato di tramontana, e sul pendio incontriamo per la prima volta Gabriele Oak, il protagonista di "Via dalla pazza folla".
Solo un pastore di ventotto anni, alto e ben piantato: "... nei giorni feriali... un giovanotto di giudizio, di movimenti sciolti, abiti decenti e generalmente buona condotta".
Oak è una persona simpatica, lo si vede subito, e del tutto positiva. Ci fidiamo di lui fin dalla prima pagina, così come restiamo subito affascinati e incuriositi dall'apparire di Batsceba Everdene: "Vi era... intorno a lei come un'aria e un fare giocondo, con i quali sembrava volesse dare ad intendere che non c'era da mettere in questione la desiderabilità della sua esistenza".
Certo non la mette in dubbio Gabriele: "Senza voler gettare il velo delle ninfe sopra una lattaia, lasciatemi dire che qui la critica si raffreddò da sola... e che Oak guardò le proporzioni di lei con un lungo, cosciente godimento". Siamo sempre sulla collina di Norcombe, dove "il lappolare di tutti gli astri pareva un unico palpito regolato da un polso comune". Qui Gabriele fa la sua dichiarazione: "Volete sposarmi? Fatelo, Batsceba. Vi amo fuor di misura" ed è qui che la giovane Batsceba lo rifiuta perché "un matrimonio sarebbe una gran bella cosa... Ma un marito... Sarebbe sempre lì... Ogni volta che alzassi gli occhi, eccotelo lì".
Bene, ora possiamo lasciare la collina, già così familiare, con un po' di nostalgia per il vento che scuoteva i faggi e illimpidiva il cielo notturno, e per la sua solitudine. Toccheremo Casterbridge, la città che sta al centro di questo mondo rurale e ne fa parte. Attraverseremo la foresta di Yarlbury, tra i frulli d'ala dei fagiani, all'ombra delle antiche querce. Giungeremo a Weatherbury, attraverso praterie irrigue. Di Weatherbury conosceremo ogni stagione, la neve e la canicola, l'alba e il tramonto. Accompagnati da un coro di popolo allegro e ironico, partecipe e comprensivo, saliremo e scenderemo queste colline fertili e ridenti mentre Batsceba Everdene pagherà con anni di errore la propria imprevidente capricciosità, sconterà con dolore quanto vi era in lei di lieve e irragionevole e folleggiante. E Gabriele Oak aspetterà e si prodigherà, generoso e fedele nel suo misconosciuto e solo rinviato amore.
La loro storia sarà scandita dalla mietitura e dalla tosatura, dalla fienagione e dalla nascita degli agnelli. Avvenimenti cantati con respiro epico e grandioso, perché grandiosa è la natura e la vita che ne fa parte. Così come drammatico e tragico può essere il destino di un fittavolo, di un pastore, di una contadina.
"Quel giorno le grandi porte laterali erano spalancate verso il sole, per introdurre luce abbondante, diretta sul luogo dove operavano i tosatori, che era il pavimento ligneo per la trebbiatura, nel centro, costruito in quercia massiccia annerita dagli anni e lucidata dai colpi dei correggiati per lunghe generazioni, fino a diventare altrettanto lucido e ricco di patina quanto il pavimento di un qualunque castello elisabettiano. Lì erano inginocchiati i tosatori, e il sole illuminava di sbieco le camicie stinte, le braccia abbronzate e le lustre cesoie che brandivano facendole scintillare di migliaia di riflessi abbastanza forti da accecare un uomo di debole vista. "
Se guardiamo dalla soglia dell'antico granaio questa scena, sentiremo, assieme al rumore delle cesoie, il tonfo degli stessi tamburi di antichi poemi. Non ci sono battaglie ma, se ci sediamo sul pendio della collina, sotto la siepe che separa la strada dai campi, in una notte minacciosa e fosca, di nuvole trascinate e pecore impaurite, di rospi e lumache che lentamente muovono verso un riparo sicuro, vedremo la battaglia di Gabriele per salvare le biche di grano da una pioggia devastante, attorniato dai fulmini sempre più vicini, assistito in silenzio dalla coraggiosa Batsceba, tra scoppi luminosi e terribili.
Vedremo uomini e donne, dall'alto di queste colline, piegarsi come arbusti spazzati dal vento, colpiti dal fato rapace come conigli ignari e imprudenti. Ma li vedremo anche, avvicinandoci, ingrandirsi fino alla maestà, nella perseveranza di un amore, nella follia di una passione, nella forza di tirare avanti oltre ogni ostacolo, nel lavoro quotidiano.
Udiremo, infine, "un orribile clamore di musiche, provenienti da una grancassa, da un cembalo, da un clarinetto, da un serpentone, da un oboe, da una viola, da un contrabbasso" e lasceremo Gabriele e Batsceba, di nuovo splendente e fresca nella sua gioventù, sulla soglia dell'antica casa, mentre gli amici li salutano, coloro che condividono lavoro e affanni e le gioie più evidenti e semplici.
"Non ho mai sentito un tipo provetto, sposato da vent'anni, starsene lì a tubare il suo "mia moglie" con un tono più familiare di quanto ha fatto lui" disse Giacomo Smallbury.
"Sarebbe stato più conforme a natura che l'avesse pronunciato con meno calore, ma non c'era da aspettarselo, per ora".
"Questo miglioramento verrà col tempo".
Ci allontaniamo da Weatherbury sorridenti e col cuore leggero, per questa volta, forse perché nella vicenda di "Via dalla pazza folla" non c'è ancora nessun protagonista severo e ascetico, proveniente da quella che ormai è un'altra civiltà, anche quando originario della campagna. Sono sempre loro, gli intellettuali civilizzati e rigorosi, complicati e idealisti, i portatori del male nei romanzi di Thomas Hardy. Sono i cittadini istruiti. Loro si fanno strumento del fato, con il dibattersi tra istinto e ragione, tra rigore e pietà.
In "Via dalla pazza folla" c'è il coro impetuoso dei paesani, che nei futuri romanzi resterà sullo sfondo; Gabriele Oak ha i movimenti sciolti e sicuri di chi è in pace con sé stesso, quello che fa riesce sempre e quello che produce è buono di per sé e, benché rimproveri a Batsceba i suoi capricci e le sue involontarie follie, non esita mai nello starle a fianco e ne vede il valore e la bontà al di là di tutti gli errori.
"... non la quiete completa ma solo gli alberi
che sussurrano piano, o il ronzio delle api
o ruscelli che gorgogliano sulle pietre
con toni dolcemente aggrovigliati... "
C'è, in questi romanzi, tutto ciò che travalica i tempi, le mode, la pazzia delle folle.
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