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THOMAS HARDY Paesaggio con figure, terza tappa

di Sonia Savioli




Abbiamo già sfiorato, con Tess, i confini del vasto e desolato territorio di Egdon. Ora entriamo nella sua brughiera: "Un volto su cui il tempo lascia ben poca traccia".

E' molto più appropriato, il dramma, alla protagonista de La brughiera, benché in nessun romanzo di Thomas Hardy come in questo il vero protagonista sia il paesaggio, la natura, del tutto autonoma, qui, e insensibile al lavoro, alle fatiche, alle epoche umane che non vi lasciano che effimere e meschine tracce.

Entrando al crepuscolo nella brughiera di Egdon, coperta di ginestre, di felci e di rovi, battuta più che mai dal vento, ci addentriamo nella terra più selvaggia e ribelle del Wessex, indomabile e maestosa nella sua scabra solitudine. Inalterata attraverso i millenni, quale miglior teatro per dimostrare la vanità degli umani affanni?

E' il crepuscolo, dunque, e forse vi spaventa questa terra bruna e silenziosa. Non ci sono belati, campani di mucche, gorgogliare di ruscelli, voci dai campi, come nella campagna attraversata finora. Solo il vento tra le felci e il canto di minuscoli uccelli che, nella vastità, sembra sempre lontano.

Thomas Hardy pensava che simili paesaggi sempre più si confacessero ai rovelli tormentosi dell'uomo moderno. Non poteva immaginare come e quanto la civiltà industriale ci avrebbe allontanati dalla natura, rendendola estranea e temibile. Voi avete forse paura di inoltrarvi da soli persino in una ridente e familiare campagna mediterranea, temete anche il bosco e il ruscello, ma può darsi che il viaggio attraverso le colline e le ampie vallate del Wessex abbia risvegliato ricordi infantili, attrazioni sopite, ambizioni frustrate di esplorazione e comunione con la natura. Allora, sedetevi "sul ceppo di un albero nella valle al centro di Egdon, in quest'ora tra il pomeriggio e la sera, quando vi si scorgono soltanto le vette e le creste che limitano l'orizzonte allo sguardo" e vi verrà fatto di pensare che tutto quanto avete attorno "esisteva fin dai tempi della preistoria, immutato come le stelle al disopra del vostro capo"; e questo darà "un senso di stabilità allo spirito alla deriva, in continuo mutamento e ossessionato dall'irresistibile Nuovo".

Anche qui il nostro primo incontro con gli abitanti sarà durante una cerimonia festosa e antica, legata intimamente ai ritmi della natura e delle stagioni. Fuochi si accendono nella brughiera di Egdon: grandi falò incendiano la notte, si salutano da una collina all'altra, da una valle all'altra. Gli uomini si comunicano la propria presenza, si uniscono e s'incoraggiano a vicenda di fronte all'arrivo della notte e della tempesta invernale.

La gente della brughiera appare più selvaggia, solitaria e stramba di quella che abbiamo conosciuto finora nelle fertili vallate e nei villaggi; le figure dei paesani risaltano una per una con le loro caratteristiche particolari e colorite.

La vediamo accanto al fuoco, la prima volta. Dall'alto del Rainbarrow, l'altura della pioggia, la collina più alta di tutta la brughiera, antico tumulo celtico che segna l'orizzonte di un paesaggio in cui la vita e il tempo scorrono di concerto senza interruzioni o accelerazioni brusche; in cui il passato è solo la vita di ieri, visibile e presente, legata alla vita quotidiana degli abitanti di oggi.

Eustacia Vye è scabra e maestosa come la brughiera. Solo la sua gioventù, irrequieta e frustrata, le impedisce di avvedersi della propria consonanza con quell'ambiente. E l'essere nata e vissuta a Budmouth, cittadina balneare immersa nella vita moderna.

Eustacia è una dea giovanetta, una giovane regina, un'amazzone. E' orgogliosa e sprezzante, ingenuamente sicura di sé, fatalisticamente preveggente, indipendente e audace. Selvaggia e indomabile, dunque, come la terra sulla quale si aggira, indifferente e fiera. Anche la sua bellezza è antica e oscura, non leggiadra ma ammaliante.

Eustacia si muove senza paura nelle brughiera notturna, si allontana sui sentieri, la percorre con passo agile e svelto, ne conosce ogni altura e ogni anfratto, non ne teme la solitudine né le bufere.

Eustacia non arriverà nelle città che sogna e alle quali anela. Noi, vedendola dall'alto del Rainbarrow dove siamo saliti in questa notte di fuochi sparsi e faville vaganti, che si aggira pensierosa e inquieta intorno al suo solitario falò, capiamo che, se fosse tornata alla città, avrebbe forse appreso di amare la brughiera, certo l'avrebbe rimpianta e la sua anima, solitaria e selvaggia, vi sarebbe tornata come ad un asilo e ad un conforto. Perché Hardy ce la descrive come una creatura della brughiera, una persona che non avrebbe potuto formarsi altrove.

"E' pressoché impossibile diventare volgari vivendo nell'isolamento di una brughiera: che volgarità può esserci nei cavallini selvatici, nei pipistrelli e nelle serpi? Mentre una vita meschina a Budmouth avrebbe potuto facilmente distruggere la sua nobiltà".

E anche la sua bellezza, pur così antica e straniera, è cangiante e selvatica: "In panni invernali... faceva pensare a una cinciarella che, vista in circostanze usuali, ha un colore neutro e insignificante, ma, esposta a una luce viva, brilla d'abbagliante splendore".

Scendiamo dal Rainbarrow e inoltriamoci in un pomeriggio invernale in uno di quei piccoli sentieri sabbiosi, in un mare rossastro di felci secche. Il nostro sguardo si spinge lontano, senza limiti; il vento soffia impetuoso ma solo per pungerci il viso, la vegetazione della brughiera si muove appena, è cresciuta in quel vento e a sua misura, e si limita a frusciare sonora. Le piccole creature che vi abitano sono al riparo nell'intrico dei cespugli; i conigli, con il pelo arruffato, se ne stanno nelle piccole conche, tra le ginestre; i cavallini dalla criniera sventolante alzano il capo al nostro passaggio. Quel vento viene dal mare, sa di lontane tempeste ma qui non fa danno, è di casa e la brughiera non gli oppone ostacoli. Vedremo giungere l'uomo di cui Eustacia è pronta ad innamorarsi, Clym Yeobright; egli è, al contrario di lei, l'uomo moderno, pieno di ideali e di alti obiettivi, che vuole cambiare il mondo, dedicarsi a una causa, migliorare i propri simili. Ma poi gli obiettivi si modificheranno di volta in volta per compiacere quelli che lo circondano, per "ragionevolezza".

Anch'egli viene dalla città e da una città che è un simbolo, Parigi, ma ne è disgustato; ne rifiuta la vanità, l'ambizione, la mancanza di scrupoli, il lusso e lo spreco.

Si ammalerà, Clym Yeobright, rischiando la cecità, e sarà la disgrazia a salvarlo dalle sue inquietudini, lo riporterà alla pacifica comunione con la brughiera. Non potendo far altro, farà il tagliatore di ginestra, e in questo lavoro troverà la serenità e la gioia di vivere.

"Le api gli ronzavano intorno alle orecchie come se gli fossero amiche e s'attaccavano ai giunchi e ai fiori delle ginestre in sì gran numero da piegare i rami a terra. Le strane farfalle color ambra... gli si posavano sulla schiena china, scherzavano con la punta lucente del suo falcetto... Le bisce entravano e uscivano dai loro nidi tra le felci con la lucida pelle giallo azzurra... Nidiate di coniglietti uscivano dalle loro tane a riscaldarsi al sole sui monticelli di terra; e i caldi raggi solari, penetrando nel delicato tessuto delle loro orecchie, le rendevano rosse come fuoco e così trasparenti che vi si poteva scorgere il disegno delle vene. Nessuno di questi esseri aveva paura di lui".

Non è così desolata, la brughiera, per noi che ormai l'amiamo. Al sole di queste giornate estive i suoi profumi secchi ed intensi danno un'impressione di salubrità, e ci piace incontrare i timidi cavallini; ed ecco i fasci di ginestra disposti lungo la pista da qualche tagliatore, e la voce di Clym che canta una ballata. Siamo a casa nostra, come lui, mentre l'inquieta Eustacia si aggira come un fantasma selvaggio e senza pace. Così rimarranno fissati nel nostro ricordo, che li circonderà di sogni e di una pietosa partecipazione.

Se ora discendiamo nelle vallette dove le felci fitte ci sommergono, vediamo sopra di noi solo il cielo azzurro e limpido e il volo di un falchetto. Risaliamo sulle alture e ritorniamo al Rainbarrow per vedere, come il falchetto, tutta la brughiera fin dove diventa piatta palude estrema ed inospitale. Le poche casupole sparse dal tetto di paglia, qualche figurina indovinata sulle piste. L'uomo, qui, è una creatura della natura, senza privilegi rispetto alle altre, uguale ai suoi antenati che hanno costruito questo tumulo. Le ambizioni si infrangono e il vento le spazza via, le passioni e i sentimenti distruggono chi non ha coscienza dei propri limiti. Le convenienze hanno davvero senso solo per la signora Yeobright, distrutta anch'essa dal proprio orgoglio e dal proprio rigido e possessivo amore per il figlio.

Allontaniamo lo sguardo e nell'azzurrità distante potremo intravedere le valli che abbiamo già percorso, le colline dei pastori e delle mungitrici, la città di Casterbridge con il profilo delle sue vecchie case e antiche mura. La collina di Norcombe attira ancora il nostro sguardo nostalgico, sentiamo un cane abbaiare e i campani delle pecore. Il mondo che Thomas Hardy ha descritto nei suoi romanzi rimarrà intatto e limpido nel nostro ricordo, se avremo la fortuna di leggerli; rimarranno incise nella nostra immaginazione le figure di uomini e donne ricche di temperamento e delle mille sfumature dell'animo umano; rimarranno i paesaggi dipinti con tanto amore e realismo, le fatiche quotidiane, i riti campagnoli, gli scherzi, l'allegria, la vita comunitaria. Tutto ciò che vorremmo fosse eterno, e forse lo è.

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